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Come diventare mamma dopo dopo la diagnosi di cancro?
Quando una donna riceve una diagnosi di cancro, si fa due domande.
La prima è per sapere come può continuare a vivere.
La seconda è per sapere se potrà diventare madre.

Quante donne, in questo momento, si stanno facendo questa domanda, in Italia e nel mondo?
Nel nostro paese, il tumore al seno è il primo tumore femminile e nel 41% dei casi interessa donne con meno di 49 anni. Il 4% di donne con tumore alla cervice uterina ha meno di 50 anni. Il tumore ovarico interessa il 3% delle donne colpite da neoplasie femminili.
Oggi la ricerca si sta concentrando non solo sulla cura di queste patologie ma su come conservare la fertilità femminile. Perché alla paura di non sopravvivere, si aggiunge il timore, e il dolore, di non poter avere bambini
I trattamenti farmacologici e chirurgici che vengono messi in campo per la cura di questi tumori possono infatti causare infertilità.
Un orizzonte precluso che può portare la donna a vivere il trattamento chemioterapico o l’intervento chirurgico in modo negativo, può avere un impatto importante sulla psiche e, in generale, sulla salute mentale della donna, già provata dalla malattia.
Ma queste problematiche posso affliggere anche le donne che non hanno ricevuto una diagnosi di tumore ma sono portatrici di mutazioni germinali che le espongono ad un rischio notevolmente aumentato rispetto alla popolazione generale, come le mutazioni BRCA .Nel 10-15% dei casi, i tumori alle ovaie e al seno sono causati da mutazioni germinali: sapere di essere portatrici sane della mutazione permette di intraprendere un percorso di preservazione della fertilità prima di sottoporsi ad interventi chirurgici di riduzione del rischio
La preservazione della fertilità in oncologia

La dottoressa Roberta di Rocco
Oggi si parla sempre di più di preservazione della fertilità per due motivi principali: il primo è che l’età alla diagnosi di tumore si è notevolmente abbassata ( ad oggi si registrano circa 30 nuovi casi di diagnosi di tumore al giorno sotto i 40 anni di età) , il secondo motivo è lo spostamento in avanti dell’età della donna alla prima gravidanza . “Negli ambulatori oncologici ci troviamo quindi sempre di più costretti a comunicare una diagnosi di tumore a giovani donne che non sono ancora madri” spiega la dottoressa Roberta Di Rocco, oncologa, esperta di tumori ginecologici ed eredo-famigliari dell’Ospedale Misericordia di Grosseto.
A quali gruppi di donne nello specifico deve essere rivolto il tema della preservazione della fertilità?
ll percorso di oncofertilitá deve essere rivolto a tutte le donne in età fertile che ricevono sia una diagnosi di tumore sia un riscontro di una mutazione genetica correlata alla predisposizione di tumori (soggetto sano)
Il primo gruppo è costituito dalle donne che hanno già ricevuto una diagnosi di tumore al seno o a carico del sistema riproduttivo: i trattamenti chemioterapici e ormonoterapici possono causare infertilità, il cui grado di reversibilità dipende dall’età della paziente alla diagnosi e dal tipo di trattamento farmacologico necessario; nel caso invece dei tumori a carico dell’apparato riproduttivo (ovaio, utero o collo dell’utero) a causare infertilità non sono solo i trattamenti chemioterapici e radioterapici sulla pelvi, ma in primis la chirurgia che, per essere efficace da un punto di vista di eliminazione del tumore, deve essere radicale.
“A queste giovani donne è possibile proporre, in casi selezionati, trattamenti chirurgici conservativi per poter esaudire il desiderio di avere dei figli – continua l’oncologa- e questi vanno eseguiti in centri specializzati dove si possa garantire un intensivo follow-up a cui la paziente acconsenta di aderire”.
Il secondo gruppo per cui è importante parlare di preservazione della fertilità sono le donne sane che non presentano una diagnosi di tumore, ma che hanno una predisposizione genetica allo sviluppo di neoplasie, legata ai geni BRCA1e BRCA2, che aumentano il rischio in modo considerevole di tumore della mammella e dell’ovaio, rispetto alla popolazione generale
“Sapere di avere una mutazione – spiega Di Rocco – è un’informazione preziosa, perché permette alle donne di programmare un’eventuale gravidanza entro i limiti temporali fisiologici per una donna e soprattutto entro i limiti temporali utili all’esecuzione di una chirurgia profilattica per il tumore dell’ovaio che consiste nell’asportazione delle tube e delle ovaie bilateralmente. Quello che si può consigliare è non procrastinare invece l’inizio della preservazione della fertilità, qualora per svariati motivi non si abbia nell’immediato il progetto di una gravidanza. Ricevuta una diagnosi di predisposizione genetica legata a questi geni, soprattutto a un’età superiore ai 35 anni, sarebbe utile iniziare un percorso di preservazione, considerando un’iniziale declino della capacità riproduttiva della donna ( in termini di qualità e quantità degli ovociti)proprio a partire da questo limite temporale”.
Per quanto riguarda la chirurgia profilattica (asportazione di tube e ovaie) in caso di mutazione di BRCA1 è consigliabile di eseguirla non oltre i 40 anni di età mentre in caso di mutazione di BRCA2 l’intervento potrebbe essere procrastinato a non oltre i 42-44 anni, questo in relazione al diverso impatto dei due geni sul rischio di ovarico, maggiore per BRCA1. Avendo queste informazioni, una donna mutata può programmare nei giusti tempi una gravidanza.
Le tecniche principali per la conservazione della fertilità

Il dottor Matteo Lambertini
Come ci racconta Matteo Lambertini, Professore Associato in Oncologia Medica presso l’Università di Genova e l’Ospedale Policlinico San Martino, in caso di diagnosi di tumore in età riproduttiva, per la preservazione della fertilità e della funzione ovarica esistono tre tecniche.
- Crioconservazione degli ovociti. Va proposta alla pazienti con età inferiore ai 40 anni che vorrebbero avere una gravidanza in futuro, perché oltre questa età il tasso di successo è molto basso, anche se dipende molto dall’ovaio. “Ci sono donne che hanno un ovaio più giovane anche a 42 anni – spiega il dottor Lambertini – e altre un ovaio più anziano, però mediamente 40 anni è il limite di questa tecnica”.
- Crioconservazione di tessuto ovarico. Si tratta di una tecnica di secondo livello e viene applicata alle donne che non sono eleggibili per la crioconservazione degli ovociti e con un’età inferiore a 36 anni.
- Ormone GnRh. È una tecnica di preservazione della funzione ovarica, serve come terapia protettiva per evitare una menopausa precoce correlata alla chemioterapia e si può prescrivere a tutte le pazienti in pre-menopausa che fanno la chemioterapia.
“Queste tecniche possono essere intraprese dalle donne in età riproduttiva con qualsiasi tipo di tumore – sottolinea il dottor Lambertini – per esempio: in una paziente che ha una malattia ematologica aggressiva o un tumore ovarico, la tecnica dei crioconservazione del tessuto ovarico è un po’ problematica e si può fare solo in casi selezionati; un altro caso invece è la soppressione della funzione ovarica attraverso una terapia ormonale, utilizzata nelle pazienti con tumore alla mammella, ma non ci sono dati sicuri nelle pazienti con malattie ematologiche: oggi si può fare nelle donne in età pre menopausale”.
Per le tecniche di crioconservazione si è notato che il successo è legato all’età della paziente: in quelle più giovani gli esiti di queste metodiche sono più soddisfacenti.
La crioconservazione del tessuto ovarico, infatti, ha un tasso di successo sopra al 10% per le persone sopra ai 40 anni e oltre il 30/40% di successo in persone sotto ai 35 anni.
La donna di 40 anni che non ha mai avuto figli rappresenta un caso borderline, perché a 40 ci può essere ancora la possibilità di eseguire la crioconservazione degli ovociti, ma ciò dipende dalla riserva ovarica di quella donna, inoltre si possono prendere in considerazione anche altre tecniche come l’ovodonazione in caso non si riesca a utilizzare il proprio materiale ovarico o in caso non si avesse una riserva ovarica sufficiente.
Quando la diagnosi di tumore arriva durante la gravidanza
Anche per queste situazioni la ricerca e la medicina hanno compiuti passi in avanti e fortunatamente l’aborto non è più l’unica soluzione, anzi. Le cure di oggi non sono pericolose per il feto.
Ma occorre comunque fare attenzione: “Durante la gravidanza non si può intervenire chirurgicamente o fare radioterapia (al di fuori dei campi lontani dalla zona pelvica), assumere terapie sistemiche od ormonali e nemmeno sottoporsi a immunoterapia – ci ricorda il dottor Lambertini – ma la chemioterapia è possibile nel secondo e terzo trimestre di gravidanza e secondo i dati più recenti non ha effetti nocivi per il feto e risulta efficace nella madre. La cosa importante è che la madre sia costantemente monitorata, anche in maniera più approfondita rispetto a gravidanze normali”.
In passato, si temeva che alcune tecniche potessero aumentare il tasso di malformazioni nei feti, oggi invece vari studi hanno dimostrato che la chemioterapia non è tossica per il feto: “Potrebbe però esserci un aumentato rischio di parti pre-termine, ritardo della crescita intra-uterina , parti cesarei – aggiunge il Dottor Lambertini – ed è per questo che occorre monitorare queste gravidanze in modo costante”.
Dopo la diagnosi, a chi rivolgersi?
Una donna in età fertile che riceve una diagnosi di cancro, se vuole preservare la fertilità deve parlarne al più presto con lo specialista di riferimento. Esistono centri che hanno la possibilità di conservare gli ovociti, che è la tecnica più standardizzata e più frequentemente utilizzata. L’Istituto Superiore di Sanità mette a disposizione una mappa costantemente aggiornata con i 331 centri di (PMA) del nostro paese. La piattaforma permette di selezionare la regione d’interesse e individuare il centro più comodo.

Ornella Campanella, presidente aBRCAdabra
E in Italia ci sono tante associazioni di pazienti a cui si può fare riferimento, come ABRCAdabra onlus, la prima associazione nazionale nata per sostenere tutti i portatori di mutazioni genetiche BRCA 1 e BRCA 2 e le loro famiglie.
La tematica della preservazione della fertilità è molto sentita, ma le donne fanno tanta fatica a parlarne con i loro specialisti. E gli specialisti non indagano questo aspetto perché le visite sono incentrate quasi esclusivamente sulla cura della malattia o sulle strategie di prevenzione.
Quindi: le donne non ne parlano, gli specialisti non chiedono.
“Rimangono le associazioni – spiega Ornella Campanella, presidente aBRCAdabra onlus – che come un grande contenitore, praticamente un confessionale, raccolgono emozioni e richieste di supporto per capire a chi rivolgersi, per realizzare il desiderio di diventare genitore nonostante il cancro e la mutazione dei geni BRCA. Le prendiamo per mano, e grazie agli specialisti che fanno parte del nostro Comitato di esperti, le accompagniamo verso il luogo di cura di comprovata esperienza”.
Perché una donna non può scegliere da sola. A cosa dare priorità, alla chirurgia per asportare il tumore o alla crioconservazione del tessuto ovarico o degli ovociti? Il rischio di errore è elevatissimo e il danno potrebbe essere irreversibile.
Bisogna mettersi nei panni delle donne
Se è vero che il percorso della preservazione della fertilità va attivato il prima possibile, occorre però tenere conto di tutte le complessità dell’animo umano: c’è chi arriva a 35 -40 anni mutata e con la volontà di diventare madre, ma non ha ancora trovato la persona giusta. Oppure ci sono trentenni mutate che non hanno intenzione di pensare alla maternità e rimandano, pensando di avere tempo. È un tema molto complesso e delicato.
“La nostra associazione in questo senso è avvantaggiata perché possiamo contare sull’aiuto rilevante di due grandi esperti del panorama nazionale ovvero i Dott.ri Matteo Lambertini (IRCCS Policlinico san Martino Genova) e Fedro peccatori (IRCCS IEO Milano) – riprende Ornella Campanella- insieme a loro abbiamo promosso importanti collaborazioni con specialisti del settore in tutta Italia per promuovere conoscenze nuove. Un bisogno di salute così importante non può rimanere inascoltato, il cancro si può presentare a stadi diversi, la mutazione dei geni BRCA va gestita nel modo corretto. Diventare genitori, anche se non per tutte, per molte persone non deve essere più un tabù”.
Ci vuole maggiore consapevolezza
Ad oggi deve esserci una maggior consapevolezza verso questa problematica sia da parte delle donne sia da parte degli specialisti.
“Tutte le figure che si occupano di oncologia e tumori femminili hanno il dovere di aggiornarsi su questo tema – ribadisce la dottoressa Di Rocco – perché oggi la prognosi di queste malattie è migliorata e queste donne vivono sempre di più; quindi, bisogna garantire i trattamenti migliori e una migliore qualità di vita, permettendo loro di realizzare i propri desideri, tra cui quello di diventare madre”.
Sapere di avere una predisposizione genetica al tumore permette alle donne di programmare la propria vita in ottica di una gravidanza: oggi si possono compiere scelte che prima non si sarebbero potute fare.
Di Rocco insiste su questi aspetti: “Le pazienti devono essere considerate parte integrante della decisione terapeutica, e bisogna far passare il messaggio: nonostante la diagnosi di tumore o la mutazione genetica, si può realizzare il sogno di diventare madre”.
Oltre a questo, occorre lavorare sulle competenze dei medici: “Perché ad oggi alcuni specialisti non sono molto informati su questo argomento: l’oncofertilitá è un percorso multidisciplinare che deve coinvolgere l’oncologo, il ginecologo, l’endocrinologo e lo psicologo. La possibilità di mantenere la propria fertilità ha un impatto positivo sulla capacità della donna di affrontare il percorso diagnostico-terapeutico per il tumore”.
Gli oncologi dovrebbero seguire dei corsi specifici che andrebbero istituiti a livello nazionale affinché gli specialisti siano aggiornati su questi temi e possano affrontare le tematiche con le pazienti.
C’è un documento scritto dalla principali società scientifiche come AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) SIE (Società Italiana di Endocrinologia) e SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia) che sancisce l’importanza di integrare il percorso di oncofertilità all’interno del percorso terapeutico e di istituire dei centri dove far convergere queste tematiche: “Bisogna permettere alle Regioni di istituire questi centri all’interno delle strutture ospedaliere – conclude la Di Rocco – e occorre lavorare per aumentare l’informazione al pubblico su questo tema”.
La partita della preservazione della fertilità si gioca tutta in termini di tempo e di appropriatezza delle cure, indipendentemente dal fatto di essere paziente oncologica o portatrice sana della mutazione. “Quello che vorremmo promuovere nel 2022 – riprende la presidente aBRCAdabra – è riuscire a inserire nei soli 7 PDTA (Percorso Diagnostico terapeutico Assistenziale) regionali alto rischio, un collegamento tra Breast unit, centri per la chirurgia dell’ovaio e centri di Procreazione Medicalmente assistita (PMA). Questo consentirebbe un approccio multidisciplinare tra diversi specialisti dei centri “collegati” che in questo modo parlerebbero tra loro, si confronterebbero e proporrebbero la strategia più efficace per le esigenze cliniche della donna e della coppia”.

Angelica Giambelluca
Sono giornalista professionista dal 2009. Ho scritto e scrivo articoli in ambito medico e sanitario per diverse testate italiane, tra cui Fondazione Veronesi, Corriere Salute, AboutPharma, Medici Oggi e Policy and Procurement in Healthcare. Faccio parte del comitato scientifico della rivista Medici Oggi, edita da Springer Healthcare Italia. Per diversi anni sono stata direttrice comunicazione di cliniche private e questo mi ha permesso di affinare la mia esperienza anche nella comunicazione delle realtà private che operano nell'ambito sanitario. Mi occupo di comunicazione per aziende, professionisti sanitari e associazioni di pazienti. Conduco live sui principali temi legati alla sanità e ho realizzato il podcast “PostSanità” nell’ambito del diritto sanitario e della comunicazione. Sono intervenuta come relatrice a diversi corsi sulla comunicazione in ambito medico, destinata a medici e professionisti sanitari. Sono la fondatrice di MEDORA Magazine e la direttrice responsabile della testata PERSONE, OLTRE LA MALATTIA. www.angelicagiambelluca.com