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Guglielma, storia di una caregiver ai tempi della COVID-19
I caregiver familiari sono le persone che si prendono cura dei propri cari non autosufficienti. Lo fanno per molto tempo, anche anni. Spesso, tutta la vita. Come vivono oggi i caregiver in Italia, quali sono le loro esigenze e quali i loro principali problemi? Guglielma Vaccaro, avvocato civilista di Saronno (Varese) ci aiuta a rispondere a queste domande raccontandoci la sua esperienza di caregiving e di come si è evoluta nel momento dell’arrivo dirompente della pandemia.

Buongiorno avvocato, può raccontarci la sua esperienza di caregiving familiare e come è stata sconvolta nel 2020?
Sono la caregiver principale di mia madre, anziana, affetta da malattia di Parkinson ormai da quasi 20 anni e che necessita di assistenza continua. Prima di me era mio padre il caregiver numero uno e si è occupato per tanti anni delle incombenze pratiche, burocratiche e giuridiche, pur con il mio aiuto.
Come avete vissuto questa pandemia?
Poco prima che esplodesse l’emergenza sanitaria, a febbraio 2020 mia madre cade e si rompe il femore. Questo comporta un’ospedalizzazione con intervento chirurgico, che in tempi “normali” si sarebbe definito di routine, e un periodo di riabilitazione.
Viene quindi inviata in un istituto di Milano dove inizia e prosegue la riabilitazione.
La pandemia scoppia e iniziano le chiusure e le prime forme di distanziamento sociale. La struttura viene chiusa completamente, non si ammettono visite dall’esterno. E io non posso più vedere mia madre.
Col passare del tempo si sentono sempre più notizie relative ai vari istituti che, sebbene siano chiusi, registrano un numero crescente di casi di COVID-19 soprattutto tra le persone anziane.
Nel mese di marzo ci comunicano che mia madre ha i sintomi dell’infezione da coronavirus e ad aprile viene ricoverata in gravi condizioni con una iniziale prognosi infausta. Tuttavia, dopo un mese di ospedalizzazione in cui non riusciamo ad avere notizie in modo costante e coerente, ci comunicano che ha superato la fase critica.
Si negativizza e a metà maggio viene rimandata a casa. In quel momento inizia per noi il vero problema, infatti la COVID-19 e il ricovero hanno lasciato mia madre estremamente debilitata. Torna a casa deperita, molta dimagrita, senza tono muscolare, con diverse infezioni ospedaliere e, come dico sempre, “senza libretto di istruzioni”. La fase di intensa riabilitazione è stata soprattutto a carico nostro dato che la ASL di competenza aiuta, ma solo fino ad un certo punto.
La situazione è stata inoltre complicata dall’improvvisa scomparsa di mio padre, che era appunto il caregiver principale, anch’egli anziano e vulnerabile.
Ad oggi, posso dire che a furia di combattere e grazie al suo carattere forte, mia mamma si è ripresa. Compatibilmente con la sua malattia neurologica, che ovviamente prosegue, ha un livello di vita discreto. Ora la persona che si occupa di lei sono io, coadiuvata da una badante, che mi aiuta ad avere dei momenti da dedicare alle altre cose pratiche e alla mia attività lavorativa.
Dal punto suo di vista cosa è mancato da parte dell’assistenza sanitaria?
Mia mamma una volta a casa aveva bisogno di un’intensa riabilitazione, perché era allettata da mesi. Nella nostra esperienza la ASST di competenza ci ha inviato un fisioterapista che è stato presente per un solo mese. Forse ci vorrebbe un ripensamento in termini di organizzazione. Un mese è poco. Credo ci sia un problema di risorse insufficienti o non distribuite in modo efficiente, ma soprattutto non in modo capillare sul territorio.
Il resto della riabilitazione è stato completamente a carico nostro: ci siamo arrangiati a provvedere ad un fisioterapista e a tutti supporti necessari privatamente.
Il caregiver spesso è anche una persona che deve lavorare e fa davvero fatica a seguire tutto. Oggi ho assunto una persona che mi aiuta durante il giorno e mi permette di lavorare e pensare alle altre cose pratiche. Avere un’altra persona presente è molto importante perché mi permette di assentarmi, tuttavia è molto oneroso e non tutti possono affrontare questa spesa. Inoltre, si resta sempre il principale referente nella gestione di tutte le incombenze e non puoi allontanarti. Banalmente, il caregiver vorrebbe avere anche una vita propria.
Mi piacerebbe che lo stato si prendesse carico, almeno in parte dei “pesi” della cura che oggi sono tutti sulle nostre spalle.
Questo peso ha un impatto anche sulla salute mentale?
Assolutamente sì. Il caregiver è spesso psicologicamente vulnerabile: ha un maggiore rischio di depressione, ma anche di svalutazione del sé e andrebbe accompagnato nel percorso di cura. Purtroppo il problema della salute mentale è ancora un tabù in Italia. Ma, più semplicemente, se il caregiver si ammala di una malattia fisica, che succede? Occorre arrangiarsi anche in questo caso.