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Malattie rare e ricerca: seminare il presente per raccogliere un futuro migliore
Per le malattie rare è molto più difficile catalizzare l’attenzione della ricerca, l’interesse dell’industria e la sensibilità del pubblico. Questo rende l’iter verso lo sviluppo di nuove terapie ancor più lungo, tortuoso e complesso di quanto accada per malattie più diffuse. Eppure impattano sul destino di milioni di persone, globalmente. Per promuovere gli studi in questo delicato ambito e utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione, sono nati i Seed Grant di Fondazione Telethon. Il 28 febbraio si festeggerà la Giornata Mondiale delle Malattie Rare: in quell’occasione, verranno svelati i progetti vincenti del Fall Seed Grant 2021.
Una malattia è definita rara quando interessa al massimo lo 0,05% della popolazione, ovvero quando colpisce 5 persone (o meno) ogni 10.000. Ma se queste patologie sono singolarmente rare, complessivamente riguardano milioni di persone: solo nel nostro Paese sono 2 milioni le persone che soffrono di malattie rare.
I numeri globali sono importanti, ma non riescono a produrre massa critica, perché il mondo delle malattie rare è disperso, fatto di famiglie che vivono il tempo sospeso di una diagnosi che non c’è, i limiti della disabilità, l’angoscia di non avere speranza. A dare loro voce, le Associazioni Pazienti, che promuovono la formazione di network per accelerare il flusso delle conoscenze e partecipano attivamente al finanziamento della ricerca.
“Le Associazioni Pazienti sono composte da persone che hanno deciso di prendersi cura degli interessi dei malati, di costruire per essi un futuro possibile solo grazie alla ricerca scientifica. Perché è solo con il progresso che possiamo arrivare allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici e al miglioramento della qualità di vita dei malati”, spiega Alessandra Camerini, Responsabile delle relazioni con i pazienti e delle Associazioni di Fondazione Telethon.
Seminare bene per raccogliere meglio
“Per supportare la ricerca in condizioni di eccellenza”, prosegue Alessandra Camerini “è necessario sviluppare le competenze necessarie all’ottimizzazione degli investimenti e limitare i conflitti di interesse e il rischio di dispersione delle risorse. In questo Telethon ha pensato di poter fornire il proprio contributo: al di là dei consueti bandi che continuiamo a lanciare, abbiamo deciso di mettere a disposizione delle Associazioni le competenze costruite in questi 30 anni, in particolare nell’ambito della valutazione dei progetti di ricerca scientifica e del loro monitoraggio. Dal 2019 abbiamo deciso di lanciare con frequenza prima annuale, e dallo scorso anno semestrale, dei bandi speciali, che abbiamo chiamato Seed Grant: progetti che hanno l’obiettivo di selezionare un “seme” da piantare in un immaginario campo della ricerca in modo che possa attecchire e germogliare con un percorso efficace”.
Come funziona il Seed Grant e qual è il vostro ruolo?
“Le Associazioni che vogliono organizzare un bando di ricerca sulla loro specifica patologia e che dispongono del budget necessario ci contattano e noi mettiamo a disposizione tutta la nostra infrastruttura per organizzare, lanciare, gestire e monitorare i bandi che sono rivolti a ricercatori sul territorio italiano. Realizziamo una ricerca sullo stato dell’arte delle conoscenze nel mondo per capire quali siano le aree entro cui perimetrare l’iniziativa, lanciamo il bando diffondendolo nei nostri canali e componiamo una Commissione medico-scientifica ad hoc formata da esperti di fama internazionale, che quindi non hanno alcun conflitto di interessi con i ricercatori italiani che possono applicare. La Commissione valuta tutti i progetti che vengono presentati dai ricercatori: sarà poi l’Associazione a scegliere quale finanziare”.
Com’è andata negli scorsi anni?
“Intanto, ci tengo a precisare che anche per il Seed Grant applichiamo, come in tutte le altre nostre iniziative, il metodo della peer review, che riteniamo essere il più efficace. Fra l’altro siamo l’unica funding agency italiana con il processo di gestione dei bandi, peer review e gestione amministrativa certificati in qualità (ISO9001). Dal 2019, il Seed Grant ha visto il coinvolgimento di 14 Associazioni pazienti e l’assegnazione di finanziamenti per 24 progetti di ricerca, 19 di ricercatori esterni e 5 di ricercatori dei nostri istituti, per un investimento totale di 1 milione e 200.000 euro”.
E quest’anno?
“Nel bando di cui stiamo presentando i risultati sono coinvolte 3 Associazioni (ARSACS ODV, Con Giacomo contro Ehlers-Danlos Syndrome vascolare-APS e A.Ge.P.I.) e una famiglia di una paziente con una rara forma di sindrome Charcot Marie Tooth, che finanzieranno sei progetti di ricerca.
Stiamo già lavorando con sei Associazioni per il bando che lanceremo in primavera e abbiamo già richieste per il bando di autunno 2022. Molte delle realtà con cui abbiamo già lavorato con i Seed Grant vogliono continuare a investire in ricerca con questo metodo: si è creato un rapporto di fiducia e collaborazione che continua nel tempo”.
Il racconto di Alessandra Camerino ha acceso la mia curiosità sulle Associazioni che partecipano al Fall Seed Grant 2021.
Ne ho intervistato le Presidenti: donne temprate della durezza di una diagnosi e dalle asperità di un cammino pieno di ostacoli, abituate a seminare e veder germogliare qualsiasi tipo di terreno.
Ecco le loro storie
ARSACS- atassia spastica autosomica recessiva di Charlevoix-Saguenay
L’atassia spastica autosomica recessiva di Charlevoix-Saguenay (ARSACS) è una malattia rara neurodegenerativa che esordisce nei primi mesi di vita e causa gravi disabilità.
“Ci si accorge che qualcosa non va all’età in cui i piccoli dovrebbero cominciare a camminare”, mi racconta Susanna De Luca, Presidente di ARSACS ODV e mamma di un piccolo paziente. “Per i bambini con ARSACS questa fase arriva un po’ più tardi, perché per loro è difficile coordinare i movimenti. Siccome non riescono a mantenere l’equilibrio non possono compiere attività come pattinare, andare in bicicletta o in monopattino e cadono spesso”.

PAOLO, EDOARDO E SUSANNA CREDITS: PIETRO BARONI /TELETHON
Durante l’adolescenza subentra la spasticità.
“I muscoli tendono a contrarsi. Il mio bambino è ancora piccolo e non sono ancora arrivata in questa fase, ma ha comunque già bisogno di fare fisioterapia per ammorbidire i muscoli e prevenire la retrazione, che renderebbe i movimenti ancora più difficili. La malattia avanza aggredendo i muscoli e provocando stanchezza e difficoltà a camminare. Diventa necessario un supporto, che può essere un bastone, un carrello o la sedia a rotelle. I problemi riguardano anche la vista e il linguaggio, che dipendono dall’azione di muscoli: i pazienti hanno una parlata più impacciata del normale”.
Susanna mi ricorda che le informazioni disponibili sull’ARSACS sono limitate: non solo è una malattia rara, ma è anche nota da pochi anni. I numeri, in questo caso, sono troppo pochi per costruire statistiche significative.
“Pensi che i pazienti ora adulti non hanno potuto beneficiare dei più recenti avanzamenti nella fisioterapia: vedremo in tempo reale quali risultati porteranno”.
Si pensava che questa malattia fosse limitata ad alcune zone del Canada, e invece…
“Quando si è scoperto che i casi erano distribuiti in tutto il mondo, in Italia e in Europa mancava un punto di riferimento: lo siamo diventati noi, quando abbiamo fondato l’Associazione, nel 2018. Il nostro primo obiettivo è trasmettere il concetto che l’ARSACS è diffusa ovunque. E riteniamo sia importante sensibilizzare, disseminare informazioni: noi che abitiamo a Milano abbiamo impiegato 2-3 anni per avere la diagnosi e ci è andata bene… Per tanti pazienti ce ne sono voluti 10!
Ci impegniamo anche a dare vita a una rete: la Fondazione canadese a cui noi facciamo riferimento ha creato un Registro Internazionale dei Pazienti, un elemento importante: solo diventando un po’ meno rari si potrà muovere più facilmente qualcosa”.
Ma arriviamo al punto forte, quello della ricerca.
“Vede, noi viviamo l’importanza della ricerca ogni giorno, in famiglia, perché mio marito è medico. Ma anche come Associazione ne percepiamo il valore: per questo abbiamo sposato subito l’iniziativa del Seed Grant. Abbiamo bisogno di piantare dei semi nei laboratori che si occupano di questa malattia, perché si inizino a studiare innanzitutto i meccanismi di base: senza conoscerla a fondo non potremo fare passi avanti. Attualmente i ricercatori impegnati negli studi anche a livello internazionale sono pochi: il fatto di poterne coinvolgere qualcuno in più è una bella sfida che abbiamo deciso di supportare”.
La sindrome di Ehlers-Danlos vascolare
Questa sindrome è dovuta ad una mutazione del gene che codifica per le fibre di collagene, una proteina fondamentale per la pelle e per gli organi interni, di cui costituisce l’impalcatura. Se il collagene non viene prodotto correttamente, la parete delle vene e degli organi cavi si assottiglia e rischia di perforarsi.
“La malattia è comparsa quando Giacomo aveva 18 anni proprio con una perforazione del colon, ma è stata diagnosticata soltanto 13 anni dopo, nel 2017. Allora non si sapeva cosa fosse: si pensava ad un tumore, al morbo di Crohn, alla diverticolite”. Maria Chiara Tealdo, fondatrice con il marito dell’Associazione Con Giacomo contro Ehlers-Danlos Syndrome vascolare-APS, ripercorre tutte le dolorose tappe che hanno segnato la vita di suo figlio.

Giacomo – Foto by www.congiacomocontroveds.org
“Giacomo è sempre stato generoso e sensibile. Oggi ha 35 anni, è avvocato, sposato e ha una bambina di 2 anni: ha tutti gli stimoli positivi che gli servono per continuare la sua vita. Con i suoi 2 fratelli minori, che hanno sofferto molto per questa sua vicenda, è molto unito. Insieme hanno creato un network nei social media: la comunicazione efficace fa la differenza! Molte persone che li seguono stanno facendo il tifo per questo progetto”.
Chiedo a Maria Chiara in quale prospettiva abbiano costituito l’Associazione.
“Per essere visibili. Non come papà e mamma, ma come un organismo che raccoglie le energie non solo nostre, familiari, ma di tutti coloro che ci vogliono sostenere. Il nostro scopo è sostenere la ricerca scientifica e trovare una cura. Ci hanno detto che si può trovare, ma chiaramente gli studi hanno bisogno di finanziamenti”.
Ci sono quindi buone notizie…
“Gli studi sull’mRNA effettuati per COVID hanno dato una forte spinta alla ricerca genetica. Il professor Aiuti (Alessandro Aiuti, TIGET San Raffaele – ndr) e altri ricercatori ci hanno spiegato che abbiamo fatto grossi passi avanti dal punto di vista della terapia genica: questo ci dà tanta speranza. Ad agosto, quando Giacomo era in ospedale, proprio il professor Aiuti ci ha consigliato di rivolgerci a Telethon. Così abbiamo conosciuto il Seed Grant, un progetto che premia le eccellenze medico-scientifiche italiane. Durante il mese in cui è stata realizzata la selezione abbiamo ricevuto un numero straordinario di application.
Vede, so che la ricerca non si esaurisce certo in un anno: ci vuole tempo (anche se io vorrei subito una cura per Giacomo) e quindi noi continuiamo a mantenere aperto il canale di dialogo con le fondazioni e gli enti che vogliono donare fondi a favore della nostra Associazione. Continueremo a finanziare i progetti che lo meritano. Crediamo che la sinergia fra i centri di ricerca sia premiante e pensiamo che avere promosso la circolazione di informazioni fra i medici rappresenti un valore”.
La mutazione del gene PIGA
La mutazione del gene PIGA è una malattia rara che assume caratteristiche diverse in ogni bambino, ma che presenta una caratteristica comune, le crisi epilettiche farmaco-resistenti. Molti bambini hanno anche ipotonia muscolare, in parte evitabile con l’uso di terapie mirate.
Chiedo a Caterina Boria, Presidente di A.Ge.P.I. e mamma di un paziente, quali sono i problemi di questi bambini.
“I bambini con questa patologia hanno problemi di deglutizione e dell’apprendimento, un ritardo psicomotorio variabile; alcuni non riescono a stare seduti, a mangiare. Mio figlio riesce a fare qualche piccolo passo da solo, ma le crisi epilettiche gli hanno danneggiato la parte del cervello che coordina l’equilibrio e quindi non riesce a stare autonomamente in piedi”.
Qualche volta la diagnosi può essere un nuovo inizio.
“Abbiamo fondato la nostra Associazione per far conoscere la nostra malattia e far sentire meno sole le famiglie degli altri pazienti. Io ho scoperto la malattia di mio figlio nel 2017, quando lui aveva 7 anni, perché quando lui ha cominciato a stare male non era ancora conosciuta (è stata scoperta nel 2014): non mi sono persa d’animo, perché solo quando sai che malattia hai puoi affrontarla.
Un obiettivo a lungo termine è quello di dare una speranza in più ai pazienti: una cura, una soluzione che estenda la sopravvivenza e migliori i sintomi. Mio figlio ha sintomi più lievi rispetto agli altri del nostro gruppo, ma comunque importanti: deve essere seguito 24 ore su 24, non mangia e non beve da solo, sta seduto sulla sedia a rotelle, non parla, ha il pannolone, non va a scuola perché ha le difese immunitarie basse…”.
La rete aiuta.
“Non è semplice affrontare tutto questo da soli. Sa quanti bimbi con questo disturbo ci sono in Italia? Siamo 5 famiglie e, da qualche mese, se ne è aggiunta una sesta, che però risiede a Londra.
La maggior parte dei bambini non supera i 2 anni di vita. Mio figlio ha quasi 12 anni: averlo saputo ha dato coraggio alle altre mamme.
Partecipare a questo bando significa per noi dare valore all’unica speranza che abbiamo, la ricerca: vogliamo dare una possibilità in più ai piccoli che ogni giorno lottano per sopravvivere”.

Monica Torriani
Farmacista, mi occupo di comunicazione in Sanità: redazione di contenuti per la carta stampata e il web, medical writing, ghostwriting. Collaboro con testate editoriali, agenzie di comunicazione, aziende e farmacie per la realizzazione di contenuti multimediali ed eventi nel settore farmaceutico. Sono consulente scientifico per le attività di advertising e la produzione di corsi di formazione nell’industria farmaceutica. Membro del Gruppo di Lavoro Dispositivi Medici SIARV e socio AFI Scientifica. Ho creato il blog WELLNESS4GOOD - parole e farmaci, spazio nel quale racconto la mia esperienza professionale e affronto temi di attualità sul ruolo sociale della cura.