Giornalismo, comunicazione e divulgazione in ambito medico
Pubblicità dei servizi sanitari: come e quando farla

Molti lo chiamano marketing sanitario, ma a chi scrive vengono i brividi al solo pensiero che la salute si possa commercializzare. La salute si comunica. Lo fanno le aziende pubbliche e lo devono fare anche le aziende private, lasciando da parte scontistiche, campagne commerciali aggressive e tutto quel mondo commerciale che riguardano altro dalla salute. La salute non è in saldo, non è in promo, non è “hai tempo fino a”.
Detto questo, anche un’azienda privata può comunicare in modo trasparente i propri servizi, anche con l’intento di venderli. E’ normale che un’azienda privata in ambito sanitario venda prestazioni di salute per fare profitto, è lecito, permesso e ci sono realtà eccezionali nel nostro paese in questo settore. E le realtà eccezionali di solito, guarda un po’, non comunicano i prezzi in modo “commerciale”, ma solo informativo.
Toni sobri, informazione trasparente. Ho lavorato per diversi anni come direttrice comunicazione di diverse cliniche private milanesi e la passione per la medicina mi è venuta proprio in quegli anni, grazie soprattutto ai medici che mi hanno affiancato nelle campagne e mi hanno trasmesso l’importanza di veicolare un’informazione sobria, senza promesse, senza inganni, senza quei meccanismo un po’ perversi, fintamente emozionali, che mettono in atto aziende del settore privato per vendere i propri prodotti. Con la salute non si può fare.
Chiarito questo, diamo il nome giusto alle cose. Parliamo di pubblicità sanitaria informativa, l’unica ammissibile nel nostro paese. Per fortuna.
Iniziamo con un’importante distinzione tra il marketing tradizionale e la pubblicità informativa sanitaria.
Marketing tradizionale e pubblicità sanitaria
Nel marketing tradizionale, si crea un bisogno di un particolare prodotto o servizio, attraverso campagne accattivanti, suggestive….offerte promozionali che sembrano davvero vantaggiose, sconti, saldi. Si soddisfano bisogni reali, e si creano quando non ci sono.
L’esempio tipico può essere nel campo della moda, quando siamo bombardati di pubblicità sui certi capi d’abbigliamento, saldi, super sconti: magari abbiamo l’armadio a posto, forse ci mancano giusto un paio di magliette. Ma vediamo una pubblicità che ci spinge a comprare cose di cui non abbiamo bisogno. Stessa cosa succede nel campo dei prodotti dell’elettronica, o per certi alimenti non proprio sani, ma buonissimi. Oppure nel campo della cultura o dell’intrattenimento: sconti, promozioni, per scoprire mete mai viste, per andare a un parco divertimenti.
Tutte attività che generano o soddisfano bisogni legati al piacere personale e in alcuni casi alla produttività sul lavoro (un nuovo pc ad esempio).
Al di là se sia giusto o meno creare nuovi bisogni, la pubblicità si basa su questo, da sempre. Si dice sia l’anima del commercio, e già questa definizione dovrebbe bastarci a prenderne le distanze quando ci occupiamo di salute.
Perché i bisogni di salute non si creano, non si spingono, non si inventano.
Si intercettano, e si lavora per soddisfarli. Questo è il compito della pubblicità informativa che possono fare le aziende private e ad avviso di chi scrive è l’unica lecita, corretta, ammissibile, rispettosa dei pazienti. Che non sono clienti, mai, neppure se sono assistiti da un’azienda privata!
Questa è la grande differenza, e tutto quello che viene dopo, dal marketing alla comunicazione, deve basarsi su questo assunto.
E come si fa? Ponendo le giuste domande, ascoltando le risposte, studiando le necessità dei vostri pazienti, che non sono clienti, ma persone con un problema di salute. Non sono individui che cercano il locale carino dove fare l’aperitivo, il maglione all’ultima moda, la gita al mare o il viaggio all’estero scontato. Sono persone che hanno fondamentalmente un disagio fisico ( o psichico) e hanno bisogno di un professionista sanitario per risolverlo.
C’è anche, naturalmente, il tema della prevenzione che gioca un ruolo chiave per chi lavora in questo campo e che intercetta tutti, soprattutto chi ancora non è malato, ma potrebbe diventarlo.
Come fare pubblicità sanitaria in Italia
Oltre a questo inciso sulla differenza sostanziale tra marketing tradizionale e pubblicità sanitaria, c’è la legge a dirci che in campo medico la pubblicità può essere solo informativa, non commerciale. Il 1 gennaio 2019 sono entrate in vigore le nuove norme in materia di pubblicità dei servizi sanitari contenute ai commi 525 e 536 dell’art. 1 della Legge 30 dicembre 2018 n. 145 (Legge di Bilancio 2019) che di fatto restringono e limitano quanto già prescritto dalla legge che regolamenta la materia da quindici anni (la legge 248 del 2006, detta “Legge Bersani”) ma che è stata interpretata in modo troppo estensivo da diversi operatori della sanità, soprattutto privati ed odontoiatrici, che hanno dato vita a campagne pubblicitarie molto aggressive e, a sentire i rappresentanti delle associazioni di categoria che tutelano la professione medica, molto svilenti e lesive della dignità professionale, oltre che limitanti la libera scelta dei cittadini nella selezione dei professionisti cui affidare le cure mediche. Basta farsi un giro in rete per capire di cosa stiamo parlando.
Secondo la legge del 2018, le comunicazioni informative da parte delle strutture sanitarie private di cura e degli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie, possono contenere unicamente le informazioni funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria.
Queste norme riguardano sostanzialmente tre aspetti:
- La pubblicità sanitaria: può essere solo informativa, non è ammessa una comunicazione di tipo commerciale, promozionale e/o suggestiva.
- Le sanzioni: in caso di irregolarità, gli Ordini possono disciplinare i direttori sanitari delle strutture che hanno violato le regole e possono anche agire sulla stessa struttura (non più solo sul direttore sanitario) tramite l’Agenzia per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) e non più l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato)
- Nuovi obblighi: in un primo momento si era previsto un nuovo obbligo per i direttori sanitari che avrebbero dovuto essere iscritti agli ordini provinciali dove risiede la struttura, poi la norma è cambiata, estendendo il potere disciplinare degli ordini anche ai direttori che sono iscritti in altre provincie diversa da quella in cui operano come direttori sanitari.
In estrema sintesi, le informazioni che possono essere veicolate sono solo quelle già individuate dalla Bersani, vale a dire:
- i titoli e le specializzazioni professionali
- le caratteristiche del servizio offerto
- il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni
Ma questa comunicazione deve essere fatta secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio e non può avere come obbiettivo la promozione di un servizio, ma solo l’informazione dello stesso con il vincolo della sicurezza alle cure. Nei prossimi post ti spiegherò nel dettaglio cosa significhi pubblicità informativa, e cosa si intenda per suggestivo o ingannevole, cercando di capire su quali elementi si può puntare e quali invece sono da evitare.