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Francesca e il tumore al seno: “Con la fotografia racconto come si può rinascere”
Francesca Tilio, 46 anni, è un’artista e fotografa conosciuta in tutto il mondo per il suo sguardo sul femminile: un tocco poetico e sognante che non dimentica la sostanza dell’essere donna. Il suo percorso è iniziato quando, dopo aver ricevuto all’età di 31 anni una diagnosi di tumore al seno, ha scoperto un istinto naturale per la composizione dell’immagine. Indossando una parrucca e un abito rosa, ha dato vita a Pink Project, in cui si è ritratta per raccontare la rinascita dopo la malattia. Oggi continua a descrivere, con le sue immagini, la forza e la bellezza delle donne.
Francesca, come è avvenuto il suo incontro con la fotografia?
“Non sono sempre stata una fotografa. Per tanti anni mi sono occupata di grafica e creatività in un’agenzia di comunicazione. Fino a che, a 31 anni, ho ricevuto la diagnosi di cancro al seno e la mia vita è cambiata”.

Francesca Tilio in una delle sue performance
Come ha reagito alla notizia?
“Devo dire di essere stata molto fortunata e pienamente appoggiata dal sistema sanitario. La malattia è stata individuata velocemente e altrettanto in fretta sono state organizzate le cure. Ciò nonostante, è stato per me un annuncio sconvolgente. Ero una giovane donna, avevo un compagno, avrei voluto dei figli: la malattia inaspettata poteva mettere a rischio questi progetti. Ho affrontato i momenti della diagnosi e dell’intervento con la volontà di fare, con forza e razionalità. I momenti più bui sono arrivati dopo”.
Quando?
“Dopo la chemioterapia. Ma è in quel frangente che ho scoperto la fotografia. In casa ho trovato, infatti, una macchina fotografica e l’ho subito usata per fare piccoli still life. Mi sono accorta, sin dai primi scatti, di sentirmi a mio agio in questo tipo di linguaggio, pur non avendo mai studiato fotografia. Quello che avevo era una sorta di istinto all’osservazione e alla composizione, l’attitudine alla messa in scena, a lavorare per progetti”.
Qualcuno ha detto che la macchina fotografica cambia l’occhio di chi guarda. È d’accordo?
“Certamente. Ed ero talmente entusiasta di fotografare, che appena ho potuto ho comprato la mia prima reflex e ho continuato a scattare. Sognavo di organizzare mostre e creare momenti di dialogo e così tutto è iniziato”.
Così, la fotografia è diventata la sua nuova vita?
“Non immediatamente. Per diversi anni ho continuato a lavorare nell’agenzia di comunicazione e a portare avanti la mia ricerca fotografica fino a quando, nel 2010, ho vinto il Lens Based Art Show di Torino con Me2. Poi c’è stato il viaggio a New York che ha gettato le basi per Pink Project”.

Francesca in Pink Project a New York
Pink Project è proprio il lavoro che l’ha collegata, fra l’altro, alla Lilt e alle persone con diagnosi di tumore al seno. Come è nato?
“È partito tutto da quel viaggio a New York, fatto assieme al mio compagno. Avevo in valigia due elementi che già sapevo avrei voluto usare nelle fotografie: la parrucca rosa che i colleghi dell’agenzia mi avevano regalato nel periodo della cura, e un vestito rosa, lo stesso che mia madre indossava nelle vecchie foto di famiglia con me piccolissima in braccio. Fu un viaggio straordinario, in cui respirai un grande senso di libertà e che mi permise di portare a casa i primi scatti che avrebbero poi fatto parte di Pink Project. Ma non lo sapevo ancora”.
Quando lo capì?
“Sei anni dopo la malattia scoprii di essere incinta di mia figlia Dora. La gioia fu tale, che durante un altro viaggio in Scozia, sempre con in valigia i due indumenti rosa, capii quale forma volevo dare al progetto. Il rosa non è, infatti, solo il colore della prevenzione, ma anche un simbolo personale. Racconta che io sono viva e che il femminile si rinnova sempre, di madre in figlia”.
Anche le sue immagini con il vestito e la parrucca rosa sono diventate un simbolo?
“È così. Non c’è solo da raccontare la lotta alla malattia, ma anche la rinascita. Ovunque abbia portato “Pink Project” si sono creati dei fortissimi momenti di condivisione, anche grazie a una performance che rendeva le donne protagoniste degli scatti e testimonial sorridenti di un messaggio positivo. Nei momenti in cui rendi pubblica la tua storia, in molti si aprono”.

Francesca Tilio in una delle stazioni metro di New York
Quale consiglio dà alle donne che affrontano la malattia?
“Pensare per progetti, trovando una chiave personale. Che sia musica, scrittura o fotografia, l’importante è vedere un progetto come una spinta a immaginare. E imparare a guardare, per sperimentare e capire chi siamo, per indagare sé stessi. Poco importa se i primi tentativi saranno poco soddisfacenti, è normale passare attraverso sperimentazioni di strade che non sono nostre, ma si capirà benissimo quando qualcosa funziona, perché avvertiremo una sorta di piacere. Trovare il nesso nel proprio percorso, sul quale interrogarsi quotidianamente”.
Nel 2018 ha abbandonato “Pink Project”. Perché?
“È stato necessario in un certo momento. Poi, in modo del tutto naturale, non me la sono sentita più. Ma la mia ricerca continua con altri progetti in connessione con l’essere umano. Uso la macchina fotografica come se fosse la mia voce e per far parlare le persone delle loro debolezze, per consentire loro di mostrare la loro dignità, come in “L’Almanacco dei Cattivi”. Oppure, come in “Girls from Another Planet”, uso il paesaggio per raccontare le persone. Continuo a vivere di progetti: lo scorso marzo sono stata a Mantova, alla Biennale di Fotografia Femminile, a maggio sarò al Festival Ghergo di Montefano e presto in Francia con un nuovo lavoro. Quanto a Pink Project, potrebbe un giorno tornare a vivere”.
In che modo?
“Le mie Pink Foto sono chiuse da tempo in una scatola. Mi piacerebbe regalarle ai reparti di oncologia degli ospedali italiani ed esteri per dare loro nuova vita e raccontare, anche senza di me, una storia di speranza. Se qualcuno fosse interessato, può contattarmi attraverso il mio sito www.francescatilio.it”.
Così come Diane Arbus definì la fotografia “il segreto di un segreto”, anche Francesca Tilio ha trovato dentro di sé un piccolo mistero e lo ha fatto durante la malattia. Il pensare per progetti che la fotografia professionale richiede l’ha aiutata a guardare avanti, nei momenti difficili della terapia, affidandosi alla forza della creazione. Scatto dopo scatto, la passione per l’immagine ha consentito a Francesca di costruire un cammino che l’ha portata a essere, oggi, un’artista apprezzata per la sua sensibilità. Non solo: il suo sguardo sul femminile dice che in ognuna di noi c’è la stessa potenza, nascosta in un segreto sussurrato.

Elena Nieddu
Sono nata a Genova il 18 gennaio 1974. Nell’anno 2000 mi sono laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino. Dopo aver lavorato come addetta stampa all’Acquario di Genova, nel 2003 ho vinto il concorso per la scuola di giornalismo Ifg “Carlo de Martino” di Milano. Qui ho svolto il praticantato, culminato, il 26 febbraio 2006, con l’esame di Stato e l’iscrizione all’elenco dei Giornalisti Professionisti. Ho lavorato per il quotidiano “Avvenire” e per “Il Secolo XIX” di Genova. Collaboro con le testate “Credere” e “Jesus” dei Periodici San Paolo. Nel 2019 ho pubblicato per Ensemble Edizioni la raccolta di racconti “Senza Pelle”. Nel 2021 ho ricevuto la menzione d’onore al Premio Letterario Gozzano-Monti per il racconto inedito “La sostanza degli arti mancanti”.